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Il brand journalism per le reti d’impresa

  • 20/09/2017
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Il settore dell’agricoltura, resiliente per natura, è stato l’unico a sopportare meglio i nefasti effetti della crisi economica e finanziaria per la sua capacità di lasciarsi virtuosamente permeare sia dall’innovazione tecnologica sia da quella antropologica, con un crescente ed interessante ricambio generazionale portatore di diffusi benefici sociali e ambientali.

In una Puglia (ma non solo), attualmente, terza regione italiana per numero di imprese dedite all’agricoltura biologica e per numero di addetti impegnati, con una qualità della sua produzione sempre più riconosciuta ed apprezzata nel mercato internazionale. Proprio dalla confutazione di queste tesi e dalla riflessione che occorra far conoscere meglio “l’industria pugliese del biologico”, pertanto, nei giorni scorsi si è svolta, nell’aula magna della Facoltà di Economia dell’Università di Bari, il workshop “Reti d’Impresa nell’Agroalimentare Biologico”.

All’iniziativa, promossa da Assoretipmi Puglia, ha partecipato attivamente anche Resto al Sud, con un intervento sul brand journalism di chi scrive questo articolo.

Enzo Dota, uno degli organizzatori insieme a Roberto Laera e portavoce dell’associazione nata nel 2011 su Linkedin con lo scopo di favorire l’imprenditorialità e la creatività delle Pmi anche attraverso specifici percorsi di formazione, ha evidenziato come “oltre 4 milioni di imprese in Italia, ossia oltre il 90% del totale, abbia una dimensione piccola e piccolissima, ossia fino a nove addetti, per un totale di quasi 8 milioni di impiegati pari al 46% del totale”.

E che per superare tale dimensione di marginalità che non favorisce pienamente la competitività, ancor più su mercati nazionali o internazionali, è stato introdotto l’istituto dei contratti di rete.

Con questa dicitura si intende l’istituto giuridico introdotto nel 2009 nell’ordinamento italiano con il proposito di favorire, in una logica di cooperazione e non di competizione, il raggruppamento di imprese medio-piccole con lo scopo di aumentarne la competitività.

Con il contratto di rete, infatti, le imprese possono realizzare progetti ed obiettivi condivisi, incrementando la capacità innovativa e la competitività sul mercato, mantenendo la propria indipendenza, autonomia e specialità.

“Ad inizio febbraio – ha proseguito Dota – sarebbero già stati attivati poco meno di 3400 contratti di rete per oltre 17mila imprese partecipanti, di cui un migliaio circa pugliesi”. Con i settori manifatturieri, delle attività scientifiche e delle costruzioni che risulterebbero essere quelli più coinvolti da questa evoluzione normativa ed associativa, secondo i dati forniti da Unioncamere.

E dopo una panoramica proprio degli aspetti giuridici, offerta dalla professoressa Angela Fabiano, il commercialista Filippo Alberto Tresca, enucleando le misure agevolative attualmente in vigore, ha evidenziato le potenzialità del credito di imposta agroalimentare riservato alle “singole imprese aderenti ad un contratto di rete già costituito al momento di presentazione della domanda” con il fine di svilupparne processi e tecnologie orientati alla loro crescita.

Come poi ha sottolineato anche Eugenio Montesano della “Rete del Mediterraneo”, infatti, “il credito d’imposta, fino a 400 mila euro per impresa, è fissato al 40% dell’importo degli investimenti realizzati per lo sviluppo di nuovi prodotti, pratiche, processi, nuove tecnologie e per la cooperazione di filiera”.

La Puglia, del resto, terra da sempre caratterizzata da un notevole dinamismo agricolo con le sue eccellenze enogastronomiche riconosciute e apprezzate ovunque nel mondo, rappresenta oggi “la terza regione italiana nel biologico e sta mostrando una incredibile vitalità anche all’estero presentando un intelligente mix fra tradizione e innovazione”.

Per questo l’amministrazione regionale sta dimostrando di voler puntare molto sul biologico e per i prossimi 5 anni saranno disponibili oltre 210 milioni di euro complessivi, con l’obiettivo di raddoppiare la platea di imprese agroalimentari pugliesi che si affidano a metodi naturali ed ecosostenibili.

Intrinsecamente connessa alla visione di una produzione biologica sempre più di qualità, la riflessione sulla sicurezza alimentare che – come ha ammesso la professoressa Vera Amicarelli del dipartimento Economia, Management e Diritto dell’Impresa dell’Ateneo barese – “deve garantire cibo qualitativamente adeguato in termini sanitari e nutrizionali, con la sicurezza alimentare condizionata da un lato dal progressivo aumento demografico e dall’altro dalla limitatezza delle risorse disponibili principalmente in termini di suolo, di acqua e di energia”.

La necessità di investire sulla produzione di alimenti di qualità anche per superare la moda del “junk food” che ha contribuito a corroborare il fenomeno dell’obesità minorile in Paesi come gli Stati Uniti, sta spingendo queste super-potenze globali – ha illustrato il docente di marketing internazionale e strategico dell’Ateneo barese Gaetano Macario – “a rivisitare culturalmente i propri vigenti paradigmi per adottarne di nuovi e sostenibili, nella consapevolezza che il biologico è anche economicamente conveniente: il mercato nel 2014, infatti, ha raggiunto il valore di 80 miliardi di dollari, con tale stima poi superata sia nel 2015 sia nel 2016”.

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Ingegnere e urbanista. Giornalista ambientale e Segretario Generale di Greenaccord Onlus

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