Il caldo estremo uccide. Nel giorno in cui piangiamo un maestro della divulgazione scientifica come Piero Angela, il nostro Paese è raggiunto dall’ennesima conferma della pericolosità delle isole di calore: secondo il Ministero della Salute, tra la metà di maggio e la metà di luglio, il tasso di letalità è cresciuto, in media, del 21%.
Nell’estate del 2022 che non sarà ricordata solo come quella più calda finora conosciuta, ma anche come la più fresca dei prossimi decenni per l’accelerazione dei cambiamenti climatici – in un’Europa in cui, nelle ultime settimane, i termometri hanno raggiunto temperature record – Latina (+72%), Bari (+56%), Viterbo (+52%), Cagliari (+51%), Catanzaro (+48%), Catania (+35%) e Palermo (+34%) sono le città italiane con i dati più preoccupanti essendo state attraversate dalle ondate di calore più intense e prolungate.
“Se la temperatura media globale – si legge nello studio del Ministero della Salute, in cui sono richiamate le evidenze più recenti della World Meteorological Organization (Wmo) – è cresciuta di 1,1°C rispetto all’era preindustriale, nel nostro Paese abbiamo già raggiunto un incremento di 2,4°C con il numero degli eventi estremi aumentato di 8 volte dal 2008. Per la loro intensità, frequenza e durata, le ondate di calore come quelle dell’estate del 2022 definiranno la nostra nuova normalità, con un rischio più pronunciato per i territori dell’Italia meridionale a causa della loro collocazione geografica“.
Sotto la lente di ingrandimento, come documentano una pluralità di ricerche internazionali, finiscono, perciò, le attività umane e i nostri stili di vita quotidiani: con le nostre scelte, o non-scelte, di produzione e consumo, siamo noi che concorriamo prepotentemente al surriscaldamento globale e compromettiamo pesantemente la nostra salute e il nostro benessere urbano.
Lo studio “Global long-term mapping of surface temperature shows intensified intra-city urban heat island extremes”, condotto dall’Università di Bologna e recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista Science, dimostrando come gli hotspot più impattanti si trovino “nelle aree industriali e produttive nelle quali il calore di scarto, l’uso di materiale da costruzione scuro e l’assenza di vegetazione innalzano notevolmente la temperatura della superficie terrestre”, hanno confermato come la differenza termica tra aree urbane e aree rurali possa oscillare anche tra i 10 e i 15°C.
Non solo di giorno, ormai, siamo esposti al pericolo. Come ho scritto anche in questo post, diverse ricerche analizzano il fenomeno, ancora in parte sottovalutato, delle notti tropicali. Secondo gli autori del paper “The effects of night-time warming on mortality burden under future climate change scenarios: a modelling study”, la mortalità, per le notti eccessivamente calde causate dai cambiamenti climatici, salirà fino al 60% entro la fine del secolo.
Occorrerebbero, pertanto, soluzioni tempestive e innovative, radicali e trasversali – dalle città “spugna” alle città riforestate – per ridurre il rischio di ritrovarci, tra pochi decenni, in un Paese completamente inospitale e trasfigurato da laceranti disuguaglianze sociali, territoriali ed economiche.
In un’Italia fragilissima per il dissesto idrogeologico che affligge quasi il 94% dei Comuni italiani e con l’erosione costiera in aumento; che sta conoscendo periodi di siccità non immaginabili fino a pochi anni fa e nel timore che possano scatenare violentissime alluvioni in autunno; ci possiamo, quindi, permettere ancora di non avere, da anni, un nuovo Piano nazionale Energia e Clima o una legge che imponga a Regioni e Comuni l’adattamento ai cambiamenti climatici o un provvedimento che azzeri il consumo di suolo entro il 2050 come da prescrizioni comunitarie?